I disturbi psicologici

Perché si chiede l’intervento di uno psicologo

Le “etichette” psichiatriche

L’espressione “disturbo psicologico” può essere usata con significati diversi, a seconda dai presupposti teorici dai quali si parte. Dal mio punto di vista, sono parole che racchiudono tante esperienze personali differenti. Potremmo forse dire che rimandano a tanti significati quante sono le persone che li utilizzano.

A volte le persone usano questa espressione nel momento in cui richiedono una consulenza psicologica o una psicoterapia. Si raccontano attraverso termini “specialistici” che sono ormai entrati a far parte del linguaggio comune e che tutti, in qualche misura, abbiamo sentito e forse anche utilizzato nel linguaggio di tutti i giorni.

Chi non ha mai detto o non ha mai sentito dire frasi come “In questo periodo sono un po’ depresso” oppure “Che ansia!”, o ancora “I ragni non li posso proprio vedere, ho la fobia”?

Ansia, attacchi di panico, fobie, depressione, dipendenza, ecc.

Tutte queste parole, che siano usate in ambito specialistico o nel linguaggio di tutti i giorni, che siano state proposte da un medico o che vengano dal senso comune, sono accomunate da un aspetto fondamentale: raccontano di una sofferenza personale. Di un modo personale di vivere la propria sofferenza.

Sono un modo di dare voce a qualcosa che viviamo e che non ci fa stare bene come vorremmo. Sono anche un modo per cercare di capire ciò che sentiamo, per cercare di comprenderlo un po’ meglio e per provare a comunicarlo agli altri.

A fronte di questo personale modo di vivere la sofferenza, non elencherò qui quelle etichette diagnostiche che vengono utilizzate per nominare la sofferenza psicologica. Nemmeno ne riporterò delle definizioni, che rischierebbero di appartenere più ai libri da cui sono prese che alle persone che stanno affrontando un momento difficile.

Altri “sguardi”

Mi soffermerò, invece, su alcuni modi altri di esprimere ciò che si sta attraversando in un certo momento e che non rientrano necessariamente in quelle parole. Nel fare questo userò degli esempi generali, che non esauriscono tutti i casi possibili. Appunto perché la sofferenza psicologica ha tante forme quante sono le persone che la provano.

Una persona, in relazione a certi eventi e a certe esperienze, potrebbe trovarsi nella dolorosa situazione in cui non si riconosce più nella persona che pensava di essere fino a poco prima. Ha fatto, fa, o sente cose che ai suoi occhi non le appartengono, nelle quali appunto non si riconosce. A fronte di questa esperienza si potrebbe esprimere in termini di confusione, disorientamento, sull’orlo di un baratro, disperata. Qualcuno potrebbe interrogarsi sul proprio passato fino a mettere in dubbio aspetti molto importanti della propria storia, o rimanere bloccato di fronte a questa possibilità.

Immaginiamo anche il caso di trovarci di fronte a scelte importanti da compiere in un certo momento della nostra vita, di fronte a un bivio o ad un cambiamento imminente e non sapere che direzione prendere. Una persona potrebbe chiedersi: Quali scenari si apriranno? Come sarò io stesso dopo aver compiuto questa scelta? Sarò in grado o capace? Cosa cambierà con le persone più importanti? Ci si potrebbe sentire tanto spaventati da questa possibilità e da certe domande, da cercare di non compiere nessuna scelta, con tutto ciò che questo tentativo potrebbe comportare.

Oppure ci si potrebbe essere in difficoltà nelle relazioni con gli altri, non sapere come porsi, cosa fare, avere provato tante cose diverse senza avere ottenuto nessun risultato apprezzabile. Magari arrivando anche ad odiare. Questa difficoltà potrebbe essere rivolta alla maggior parte delle persone con cui ci rapportiamo ed essere qualcosa che ci accompagna da lungo tempo. In altri casi potrebbe essere cambiato, in un certo momento, il nostro ruolo nei confronti di qualcuno: un nuovo ruolo sul lavoro, una promozione, il matrimonio o la convivenza, un divorzio o una separazione, la nascita di un figlio o di un nipote, un trasferimento.

Potremmo sentire che gli altri ci vedono in un modo diverso da come ci vediamo noi, e non riuscire a mettere insieme le due visioni.

Anche un’esperienza di malattia, propria o di qualcuno molto vicino, per noi importante, può aprire nuove domande e nuove difficoltà nelle relazioni, cambiare gli scenari di vita e i ruoli delle persone coinvolte. Tutto ciò, spesso, in un fiume di emozioni difficili da comprendere. O, all’opposto, senza che in quel momento si riesca a “sentire” nulla. Come se si fosse anestetizzati.

Anche il lutto di qualcuno di caro può rappresentare un momento di vita in cui alcune certezze vacillano, cambiano i punti di riferimento e ci si può sentire persi.

Questi sono solamente alcuni esempi di quella che può essere una sofferenza psicologica per cui richiedere una consulenza o una psicoterapia. Situazioni nelle quali paziente e terapeuta possono iniziare un percorso di comprensione e revisione di queste esperienze.

A fronte di tutto questo, ciò che a mio avviso interessa a paziente e terapeuta mentre lavorano insieme è la definizione che la persona stessa dà al proprio malessere, il senso che ha per lei, cosa le permette e cosa non le permette di fare. Per affrontare questa sofferenza la prima cosa da fare sarà cercare di comprenderla insieme.

Al di là della parola che identifica la sofferenza, che può essere riduttiva se ci si ferma alla sola etichetta linguistica, c’è la persona che la prova, con la sua vita e la sua storia.

In quest’ottica comprendere insieme la sofferenza è un modo per iniziare a collegare il presente e il futuro della persona, per cercare strade da percorrere che portino verso altre direzioni.

Se ti ritrovi in qualcuna delle cose che ho scritto puoi contattarmi attraverso la pagina contatti

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